Philippe Daverio
critico d’arteNato il 17 ottobre del 1949 a Mulhouse in Alsazia, da padre italiano e madre francese, Philippe Daverio è un critico e storico dell’arte, molto popolare presso il grande pubblico grazie alle sue trasmissioni televisive su RaiTre, in particolare la fortunatissima serie di cultura “Passepartout”. È inoltre direttore di “Art e Dossier”, una delle più prestigiose riviste di critica d’arte del panorama editoriale italiano.
Nel corso della sua più che trentennale carriera ha ricoperto anche numerose cariche istituzionali, tra cui quella di Assessore alla Cultura presso il Comune di Milano tra il 1993 e il 1997.
E’ autore di numerose pubblicazioni e libri, tra cui il recente “Il museo immaginato” (Rizzoli, 2011) un volume originale e curioso che si presenta come una personale carrellata dei capolavori di tutti i tempi presenti nella Penisola.
Per Philippe Daverio la città di Caserta è un tutt’uno con la sua Reggia, per diverse ragioni. “Tanto per cominciare perché è il primo edificio che rappresenta la megalomania del Regno dei Borbone, una caratteristica che è ancora radicata nell’odierno meridione italiano e che evidenzia le sproporzioni tra economia e politica. E al tempo stesso è anche il prodotto della megalomania francese perché Carlo III di Borbone (primo sovrano a risiedere a Napoli, dopo due secoli di vicereame, ndr), era pronipote di Luigi XIV e la Reggia è una presa di posizione nei confronti di Versailles”.
Un’opera fatta di eccellenze a partire dall’impostazione architettonica dei Giardini, ma ci sono numerosi elementi su cui soffermarsi. “Il Regno di Napoli fu scenario della rivoluzione fisiocratica, per cui l’agricoltura è alla base dell’economia” continua il critico d’arte. “Quanto l’economia agraria fosse importante lo si deduce dal Presepe di Ferdinando IV, ospitato nelle sale del Palazzo, dove per la prima volta vediamo la mozzarella di bufala e gli spaghetti con la pummarola n’goppa: tutte conseguenza della politica economica di allora”.
La Reggia è inoltre un esempio della rivoluzione artistica di Johann Winkelmann, archeologo e storico dell'arte, appassionato dell'antichità classica che più volte nella seconda metà del Settecento visitò Ercolano, Pompei e Paestum, contribuendo alla divulgazione dei risultati degli scavi archeologici. “Come Winkelmann guardava al passato per revisionarlo e attraverso quell’osservazione si buttava nella modernità, così la Reggia deve molto all’arte romana del II e III secolo, quella di Ercolano e Pompei”.